L’allergia alle notizie che uccide una comunità locale

11 Febbraio 2016

L’allergia alle notizie che uccide una comunità locale

Questi sono solo piccoli appunti di giornalismo locale, nessun trattato dedicato all’informazione e, soprattutto, nessuna lezione di deontologia.
Nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli attacchi a chi fa informazione locale e, tra questi, anche al Caudino.
Nella nostra situazione, in particolare, c’è qualche personaggio “divertente” che segnala continuamente le pagine social agli amministratori provando a farle considerare come “spam” e cercando di imporci dei “blocchi”. Poco male. Il traffico del sito non vive solo di Facebook e, soprattutto, quello del Caudino è un account monitorato e quindi immune a questo tipo di attacchi.
La cosa che emerge, però, è una volontà (di pochi, ovviamente) a zittire chi fa informazione. Una sindrome fascista, insomma.
E riguarda sempre più spesso la politica.
Un esempio? Se scriviamo che tra Rotondi e Cervinara c’è un’emergenza legalità siamo “strumento nelle mani dell’opposizione” o “infanghiamo” i nomi dei paesi. Quando, poi, diamo conto di riunioni riservate dell’opposizione diventiamo improvvisamente un sito “foraggiato dai sindaci” che “distrugge ogni partecipazione democratica”.
Perché è cosi difficile per qualcuno pensare che una notizia si dà e basta? Perché c’è una forte allergia alla critica soprattutto in chi fa politica?
Come mai nessuno giudica i siti e i giornali locali come elementi da valorizzare per far crescere il territorio?
E’ cosi difficile capire che è grazie al Caudino, a Rete Sei e a User Tv (nel versante irpino della Valle) se certe situazioni vengono alla luce e se è possibile creare un dibattito intorno ad un qualsiasi tema?
E non è solo la politica. Guai a dare conto delle scelte dei preti in Valle Caudina: gli altari diventerebbero dei tribunali contro i giornalisti.
Senza contare certe “associazioni” che non vogliono minimamente leggere un parere contrario.
Per amor di patria, infine, non tocchiamo la questione criminalità organizzata.
E allora cosa resta?
Un lungo cammino da fare anche nelle nostre comunità, cercando di capire che l’informazione è tale e basta, che anche i giornalisti sbagliano e che dare le notizie può solo aiutare la società a crescere.
Ultimo appunto: chiamare un giornalista “giornalaio”, a parere di chi scrive, non è affatto un’offesa. Senza il lavoro certosino dei giornalai, infatti, i giornalisti (almeno quelli della carta stampata) non sarebbero mai esistiti.

Angelo Vaccariello
@angelismi

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