Il “mestiere” di vivere in Valle Caudina

Il Caudino
Il “mestiere” di vivere in Valle Caudina
Valle Caudina: 4 caudini insigniti della Medaglia d'Onore

Il mestiere della nostra vita è quello che abbiamo sognato di fare prima di diventare grandi, o quello che faremo appena saremo cresciuti un altro po’. Non per forza è il lavoro che facciamo, o quello che stiamo cercando di trovare per sopravvivere; troppo spesso, infatti, campiamo (o, almeno, ci proviamo) espletando un’attività retribuita (rectius: più o meno retribuita) che non è il nostro mestiere. Il mestiere di un uomo dovrebbe coincidere con l’attività collegata ad una “vocazione”, ad una inclinazione naturale, ad una “capacità” peculiare potenziata con lo studio e l’applicazione; il tuo mestiere è quella fatica che, mentre la fai, ti viene da dire “Sto facendo il mio mestiere; non dico che lo so fare, ma queste cose che faccio quotidianamente sono espressione della mia personalità, sono l’immagine riflessa della mia individualità”. Lavorare- si sa, e richiamo Pavese- stanca. Non lavorare, perché un lavoro non lo si ha, logora anche di più. Dirlo ai caudini equivale a sfondare una porta aperta. Sui “nostri mestieri” i luoghi comuni si sprecano. Si è detto- e lo scrisse qualcuno qualche anno fa su Panorama, parlando di Cervinara- che qui la lavanderia si chiama ancora “La Modernissima”; sciocchezze del genere, volte a descriverci come una Valle dove il progresso è appena arrivato, dove, magari, ancora si va a bottega ad imparare mestieri scomparsi, in realtà non colgono neppure minimamente l’essenza della realtà dell’occupazione in Valle Caudina.
Qui bisogna fare i conti non solo con il lavoro che scarseggia, ma anche con la prostituzione dell’ingegno di chi un lavoro (che non è il suo mestiere) lo deve fare per sbarcare  il lunario; e, soprattutto, bisogna mortificarsi a causa dell’idoneità di chi un lavoro ce l’ha, ma non è il “suo mestiere”, non è ciò per cui è portato, e quel compito lo svolge senza vocazione, senza passione, rendendo un disservizio all’intera comunità.
Un po’ ce lo siamo anche meritato! Abbiamo avuto la insana mania di indirizzare i nostri giovani verso studi per cui non avevano inclinazione, nella convinzione che i titoli così acquisendi avrebbero garantito accesso alle professioni che avremmo voluto  essi svolgessero “da grandi”; abbiamo creduto nell’ereditarietà delle attività, a prescindere dalla vocazione dei singoli, ritenendo normale che i nostri figli facessero il nostro stesso lavoro. E, purtroppo, poi, ci siamo scontrati con sedicenti tuttologhi, che di concreto non sanno fare il loro mestiere.
In un mondo migliore, un operaio dovrebbe amare quanto un’icona sacra il prodotto per cui butta il sangue, perché quello è il suo mestiere; un imprenditore dovrebbe amare i fattori produttivi (capitali, mezzi di produzione, forza lavoro e materie prime) allo stesso modo, perché è il suo mestiere; un insegnante dovrebbe non poter vivere senza perdere il fiato nella sua classe; un prete riempirsi la bocca solo di parole misericordiose, e le mani solo di carità; ed uno scrittore partorire un pezzo come fosse un figlio, ed un avvocato concepire la difesa come una missione, ed un politico pensare che solo l’arricchimento della collettività è il suo arricchimento, e così via…
Se così non è, qualcuno ha sbagliato mestiere; o, forse, semplicemente non ha capito cos’è il mestiere di vivere.

Rosaria Ruggiero
gentedistratta.it